Il dna antico

Per poter rispondere al secondo obiettivo del progetto Biostre, riguardante l’ origine delle popolazioni del Trentino e la modalità di ingresso dell’agricolura in regione (Neolitizzazione), è stato analizzato il DNA antico (mitocondriale) in reperti umani riferibili al periodo Neolitico e rinvenuti in regione durante gli scavi archeologici nella necropoli “La Vela” di Trento.

Sono stati analizzati 5 individui provenienti da cinque sepolture, tutti datati a circa 6,500 anni dal presente. I reperti si riferiscono in dettaglio alla sepoltura della tomba 1 ( scavi 1960 del Museo Tridentino di Scienze Naturali), tomba 2 ( scavi 1975 del Museo Tridentino di Scienze Naturali), tombe  3,5 e 6 (scavi 1987-88 dell’allora Ufficio per i Beni archeologici in collaborazione con l’Università di Trento).

  

  

Da parti dello scheletro, come falangi, costole o denti (foto in alto), sono stati prelevati, tramite un trapano dedicato, alcuni campioni di polvere di osso dai quali è stato estratto il DNA necessario per l’ analisi genetica.  Questa, a differenza dell’analisi condotta sulle popolazioni moderne, ha riguardato il solo dna mitocondriale che, essendo presente in numerose copie per ogni cellula (e non in singola copia come il dna nucleare), è più facilmente reperibile in campioni degradati come quelli antichi.

I campioni sono stati analizzati nel Dipartimento di Biologia Evoluzionistica dell’ Università di Firenze secondo il protocollo riportato in Cooper e Poinar (2000) e seguendo i criteri più rigorosi adottati nell’ambito dell’analisi del DNA antico umano. Tutte le analisi sono state ripetute in doppio in due laboratori indipendenti al fine di poter confermare i risultati ottenuti. Infatti, a causa dei problemi di contaminazione da DNA moderno che possono avvenire in vari momenti (durante il reperimento da parte dell’archeologo o dall’antropologo, da parte dell’operatore nella fase di raccolta del materiale osseo e in tutte le fasi di laboratorio), prove indipendenti si rendono necessarie al fine di poter validare i risultati ottenuti e di escludere che il DNA analizzato non derivi da nessuna delle sopraddette “fonti di contaminazione”. Per poter seguire la tracciabilità di eventuali fonti di contaminazione, sono stati analizzati per la variabilità del DNA mitocondriale anche gli archeologi e i tecnici che hanno direttamente lavorato con i reperti e che si sono resi disponibili all’analisi.

Il dna di ogni reperto è stato sequenziato per un frammento del DNA mitocondriale (regione ipervariabile HVR-1) ed è stato poi confrontato con la sequenza di riferimento di Anderson e colleghi (1980). Questa fase ha portato alla caratterizzazione genetica di tre dei cinque reperti analizzati (tombe 2, 3 e 6). Sfortunatamente, per due di loro (tomba 1 e 5) non è stato possibile ottenere un risultato attendibile a causa delle scarsa quantità di DNA di qualità disponibile per le ripetizioni. Questa circostanza è dipesa probabilmente dalla presenza di inibitori e di DNA batterico nei reperti, condizione frequente in campioni molto degradati come quelli antichi. 

Il confronto dei dati ottenuti dall’analisi del dna antico con quelli disponibili sulle popolazioni moderne  trentine ed europee, ha mostrato che i reperti presentano delle varianti genetiche comuni anche in queste popolazioni  (aplogruppi H*). Il confronto con i dati disponibili in letteratura sulla variabilità del DNA antico di reperti provenienti dell’Europa centrale (Haak et al., 2005), ha evidenziato l’assenza nei campioni trentini  dell’ aplogruppo mitocondriale N1a,   trovato  ad elevata frequenza  nei reperti analizzati da Haak e collaboratori, tutti riferibili a comunità portatrici della cosiddetta cultura della ceramica lineare (Linear Pottery culture, LBK), ritenute le prime comunità agricole in Europa centrale. Nel complesso, questi risultati insieme a quelli ricavati dall’analisi della distribuzione degli aplogruppi nelle popolazioni moderne del Trentino, suggeriscono una certa continuità genetica tra le popolazioni antiche e moderne come spiegato più diffusamente nella sezione dedicata ai  risultati della ricerca. Tuttavia, il numero ridotto di reperti antichi analizzati obbliga ad una certa cautela nell’interpretazione dei risultati.

 Bibliografia essenziale

Anderson et al., 1981. Nature 290:457-465.

Cooper A. e Poinar H.N., 2000. 289: 1139.

Haak et al., 2005. Scence 310:1016-1018.