Stratigrafia

Khabba 1: un villaggio di pescatori raccoglitori del V e IV millennio a.C.*


Introduzione
Il deposito pluristratificato messo in luce è riferibile ad una comunità di pescatori raccoglitori del V millennio, che praticava, in modo marginale, anche l’allevamento. Il deposito di sabbia grossolana completamente sciolta è di origine eolica, rimaneggiato per azione antropica e mescolato a resti di pasto, manufatti e strutture. La cultura materiale e le strutture insediative messe in luce tramite lo scavo del settore E, l’ultimo settore indagato durante la campagna di ricerca 2003, vanno a colmare una lacuna negli studi paletnologici della regione.
Il sito di KHB1 [1] si trova a circa un chilometro e mezzo a nord del villaggio di Khabba e a meno di uno dall’omonimo capo (Ra’s al Khabba) nella regione dell’Oman denominata Jalan. E’ situato su un terrazzo d’erosione marina a circa 35 metri sul livello del mare, la cui larghezza varia tra i 150 e i 1200 metri e costituisce una sorta di sbarramento all’accesso del mare.
L’alto morfologico separa il mare dalla paleolaguna interna (ovest). Questa doveva essere alimentata sia dal mare sia dagli awdiya interni (impluvi legati a corsi d’acqua temporanei) ed avere carattere salmastro stando al dato malacologico.
I manufatti in selce e gli strumenti in pietra non scheggiata sono ancora in fase di studio, come sono ancora in svolgimento le analisi sui resti faunistici, sui sedimenti e le datazioni radiometriche della serie. Le osservazioni esposte sono quindi il risultato dell’attività di raccolta dati e prima elaborazione degli stessi.
L’industria su selce è caratterizzata da supporti laminari di grande dimensione e da nuclei a scheggia molto piccoli con più piani di percussione. Nonostante le risorse litiche non manchino nella regione dello Jalan, gli arnioni venivano sfruttati fino ad esaurimento. La ragione di questo comportamento è forse da imputare al carattere nomade di queste comunità.
Gli strumenti su grandi lame comprendono raschiatoi singoli o bilaterali, denticolati, grandi coltelli a dorso e lame ritoccate, mentre da supporti più piccoli sono ottenuti grattatoi, becchi e bulini. I perforatori (o becchi) presentano quasi sempre all’estremità una frattura dovuta all’uso. Questi potevano essere utilizzati nella lavorazione della Pinctada Margaritifera per la produzione degli ami o nella lavorazione delle perline in conchiglia o pietra, se questa fosse da riferirsi ad una attività locale.
I recipienti erano ricavati da grandi conchiglie o da materiale vegetale, essendo del tutto sconosciuta l’industria fittile. La lavorazione dell’osso è ben attestata, anche se in modo poco uniforme nelle diverse fasi, ed è costituita da punte, aghi forati e non e da punte di freccia ottenute dal dente di squalo forandolo alle due estremità della base per facilitarne il fissaggio all’asta.

Stratigrafia per fasi e strutture
Sotto il punto di vista delle macro formazioni possiamo dividere la sequenza di KHB1 in tre unità litostratigrafiche: la formazione rocciosa calcarea di base, le soprastanti ghiaie calcaree a spigoli vivi (brecce) e le sabbie grossolane stratificate che costituiscono il deposito antropico. Le prime due costituiscono la fase 0, la situazione naturale pre-insediamento. La terza rappresenta il deposito antropico. Si presenta come un complesso di strati, lenti e strutture antropiche formate da sabbia sciolta, alcune pietre calcaree e concentrazioni di conchiglie di molluschi marini e di laguna; queste ultime caratterizzano soprattutto la parte superiore della sequenza, mentre sui piani inferiori di frequentazione la loro presenza è più rada.
La fase I, corrispondente al più antico insediamento del sito, insiste sul tetto della breccia rossastra e compatta. L’area equivalente al settore E era occupata da piccole strutture in alzato probabilmente a cupola, o meno verosimilmente coniche, con un focolare leggermente decentrato, l’entrata orientata a sud o a nord-est e alcune strutture di combustione. Le cinque capanne contemporanee sono piuttosto piccole avendo un diametro che varia tra i due e i tre metri. Tutte le strutture presentano una propria specificità: ai limiti della struttura 5 è stata trovata un’aggregazione di pesi da rete, aghi in osso e selce lavorata; la sistemazione interna della struttura 4 si differenzia per una fossa riempita da pietre; la struttura 2 è caratterizzata dalla sovrapposizione di due differenti complessi di elementi e soprattutto dalla presenza di una struttura di combustione interna e una esterna, ma molto vicina ai suoi limiti; al contrario, la struttura 3 si differenzia per la scarsa presenza di reperti o stratificazione interna. Anche la struttura 6, più recente rispetto alle precedenti, presenta dei grandi recipienti costituiti da grandi valve marine e una concentrazione di ciottoli sferici e molluschi della famiglia delle Olividae.
I complessi strutturali seguono un modulo costruttivo ripetitivo costituito da una trincea scavata nello sterile con lati verticali e fondo concavo e un riporto di breccia, risultante dallo scavo della precedente, che segue esternamente lo stesso percorso circolare. Il cordolo di breccia a tratti si trova anche nel riempimento della canaletta. Si tratta delle fondamenta di una costruzione in elevato, il cui elemento vegetale si è degradato fino alla sua completa scomparsa. Doveva trattarsi di materiale leggero e flessibile, piantato nel substrato, a volte fissato mediante alcune pietre incastrate nella canaletta. I rami, probabilmente di piante palustri provenienti dalla laguna poco distante, dovevano formare una cupola senza distinzione tra pareti e tetto (il “bacino continuo” di Farneti 1982). Lo scheletro, che a giudicare dalla canaletta continua, doveva essere piuttosto fitto, era probabilmente coperto da fibre vegetali o pelli per renderlo impermeabile ad acqua, sole e vento. Il cordolo di breccia esterno doveva servire a fissare a terra questi elementi in modo che il vento non potesse scoperchiare la struttura. Anche le buche di palo che si riconoscono all’esterno delle capanne possono essere servite per fermare la copertura, così come suggerito da alcuni confronti (Chippew del Nord America; Farneti 1982: 48, 49).
La successione di più capanne che si sormontano e le cui fondamenta quindi tagliano quelle delle strutture precedenti induce a pensare ad una frequentazione prolungata del sito probabilmente non continua.
La fase II è assai povera di strutture, per lo meno in questa area. Si possono notare alcune fosse poco profonde e qualche focolare, che non rivelano particolari accorgimenti. Gli strati a cui questi si accompagnano sono molto scuri e con dispersione di reperti.
Il passaggio alla fase III è scandito da uno strato di sabbia sciolta semisterile a cui fanno seguito strutture complesse. Si tratta di ripari aperti semicircolari con focolare nella parte antistante e a volte un riporto di breccia affiancato a questo come sistemazione per stabilizzare il piano di calpestio interno. I complessi trovati sono quattro, di cui uno sotto forma di lacerto. Il meglio conservato, il più recente, può essere contemporaneo solo ad un altro che si trova poco distante, ma in nessun modo agli altri due. Si tratta, infatti, di una successione molto interessante di strutture, nella quale l’una si sovrappone all’altra in maniera evidente. La costruzione di un nuovo riparo doveva implicare la spoliazione della/delle strutture precedenti. Il recupero del materiale ligneo non è apprezzabile archeologicamente, ma il riutilizzo di quello lapideo, sia sotto forma di grosse pietre che di piani di breccia, è ben dimostrato. In questo periodo la ricostruzione e ristrutturazione dei ripari è ancora più evidente che nella fase precedente e costituisce una sequenza di strutture che si susseguono a più riprese, per una durata considerevolmente lunga.
Le strutture della fase III sono in parte simili alle precedenti, ma mostrano alcune peculiarità. Non si tratta di bacini continui, ma di strutture semicircolari, probabilmente simili a dei paravento e meno regolari di quelle più antiche. Anch’esse presentano delle sistemazioni interne. Gli elementi vegetali che costituivano l’elevato, in questo caso, erano inzeppati con una fila continua di pietre di buone dimensioni conficcate verticalmente nella canaletta. La maggior attenzione nelle fondamenta di questi ripari non deve sorprendere perché, mentre le strutture più antiche si ancoravano alla breccia compatta del substrato, queste sono invece costruite su sedimenti sabbiosi poco coesi.
E’ interessante notare che i complessi non hanno dimensioni analoghe: mentre la struttura 7 misura 2.20 m di diametro, la struttura precedente a questa, la 9, doveva misurare in origine circa 3.5 m.
Un rinvenimento di particolare importanza in questa fase è costituito da alcune concentrazioni di elementi in Pinctada margaritifera (famiglia delle Pteriidae) sagomati “a goccia”, tutti addossati alla parete est della struttura 7. La catena operativa della lavorazione di questa conchiglia è nota dallo scavo del sito di RH6 (Ra’s al-Hamra, presso Muscat; Biagi 1999), che a KHB1 è rappresentata nei sui diversi stadi.
Tutto l’accrescimento antropico in questo periodo si concentra nella parte meridionale del settore E, dove si collocano le strutture, mentre nella parte settentrionale gli strati sfumano gradualmente, senza particolari sistemazioni.
La fase IV corrisponde ad un periodo di frequentazione piuttosto breve e non molto articolata, ma che si sviluppa anch’essa in senso diacronico. L’occupazione si inserisce all’interno di uno spesso strato di sabbia sterile, sciolta e chiara che non ha lasciato che alcune labili strutture.
La struttura 12 è la più antica di questa fase ed costituita da un circolo di pietre che non sembra connesso a delle trincee di alloggiamento come quelle esposte sopra. Le pietre sono schiacciate nei sedimenti sottostanti e il labile piano antropico corrispondente si appoggia agli stessi clasti, mentre la sabbia sterile con conchiglie intere le copre e le ingloba nella parte superiore.
La struttura 11 è inglobata nella stessa sabbia sterile poggiando su un paio di centimetri dello stesso sedimento che la ricopre. Essa è costituita da un circolo pressoché completo di pietre con un’apertura rivolta a sud-est in corrispondenza di un focolare esterno infossato e strutturato con un piano di cottura costituito da piastrine calcaree e da due pietre perimetrali. L’entrata è sottolineata da una fila rettilinea di clasti, mentre l’area centrale del complesso è leggermente scottata, come evidenzia la sabbia di colore grigiastro e alcuni resti di pesce. Attorno a quest’ultima è stata trovata una dispersione di selci lavorate e percussori. Le possibili interfacce verticali non sono in alcun modo apprezzabili in questo sedimento sciolto e chiaro, ma l’area scottata e i reperti indicherebbero che il piano, per quanto labile, sia da riconoscere a livello della base delle pietre e non sopra ad esse. Bisogna quindi concludere che la frequentazione non è stata abbastanza intensa o duratura da formare un consistente piano organico compatto.
Le labili tracce di fuoco, la concentrazione di manufatti intorno a queste e il confronto con i complessi strutturali trovati negli strati sottostanti hanno permesso di interpretare queste evidenze come tende o ripari-tenda molto leggeri (Tamburini 1982), in cui il circolo di pietre doveva servire all’ancoraggio a terra del rivestimento in fibre o pelli della struttura. I sedimenti poco compatti occultano probabilmente elementi significativi per la piena comprensione degli elementi in elevato, quali tagli di canalette o buche di palo.
La fase V segue a quello che possiamo interpretare come un lungo periodo di abbandono considerando lo spessore dello strato eolico. E’ il periodo di attività più recente a cui non corrispondono strutture in elevato. Molti sono i focolari, anche piuttosto estesi; alcuni caratterizzati da una fossa centrale riempita da resti di pasto sul fondo senza tracce di alterazione termica coperti da un livello consistente completamente nero con frustoli carboniosi sparsi. La dispersione di questo sedimento si estende sul piano circostante lasciando un’area centrale depressa colmata da sabbia chiara: quella corrispondente alla buca di combustione.
A questa fase risale anche la deposizione di due piedi umani in connessione anatomica, posti nel sedimento sterile che separa le due fasi (fase IV e V) e ricoperti da alcune pietre. Anche in questo caso non è possibile riconoscere il taglio di una fossa di deposizione. Dal vaglio del sedimento attiguo alle ossa proviene un molare umano, spezzato longitudinalmente in due parti e un esemplare forato di Engina mendicaria (famiglia delle Buccinidae).
Considerando il dato archeologico e la morfologia del territorio circostante si può, in via del tutto preliminare, proporre un modello insediativo di massima per l’area in questione. La comunità che ha lasciato le sue tracce sulla scogliera nei pressi di Ra’s al Khabba doveva avere carattere nomade e spostarsi dai territori montuosi interni fino alla laguna e al mare seguendo i corsi d’acqua (wadi). L’occupazione risalente al quinto millennio a.C., potrebbe avere carattere stagionale e avvenire probabilmente nei mesi invernali quando il pesce è molto abbondante presso le coste. Dati che confermino o che smentiscano questo modello insediativo sono ancora oggetto di studio, quindi il condizionale è d’uopo, ma lo studio malacologico e quello delle faune abbinato alla micromorfologia e alle datazioni dell’intera sequenza, nonché possibili nuovi rinvenimenti di altri siti coevi nelle aree limitrofe, potrebbero rivelarsi molto significativi in questo senso.
Non sappiamo ancora se l’insediamento avesse fini abitativi o lavorativi per la preparazione delle reti da pesca e dei prodotti della pesca; se interpretare questo settore come area specializzata all’interno del più vasto insediamento o se l’insediamento principale si trovi in altro luogo, ad esempio presso la laguna.
Infatti se col termine “abitazione” intendiamo la parte centrale di un abitato in cui l’interno, generalmente coperto e distinguibile, sia destinato ad attività domestiche e in particolar modo per il riposo, a causa del diametro piuttosto ridotto non possiamo affermare con sicurezza che le strutture in questione possano soddisfare appieno queste funzioni, anche considerando una mobilità elevata della comunità.

Riferimenti Bibliografici
Biagi P., 1999 – Excavations at the shell Midden of RH6, 1986-1988 (Muscat, Sultanate of Oman). Al-Rafidan, XX: 1-28, Tokyo.
Castaldi G., Farneti F., Larco R., Pellegrino F., Tamburini P., 1982 – Tipologie primitive. 1. I tipi “radice”. Quaderni di studio sulle tipologie e sulla architettura delle origini,  Alinea Ed., Firenze.
Farneti F., 1982 – Sviluppi e adattamenti del riparo a bacino ad archi intrecciati. In: Cataldi, Farneti, Larco, Pellegrino, Tamburini, Tipologie primitive. 1. I tipi “radice”. Firenze, Alinea Ed.
Tamburini P., 1982 – Sviluppi e specializzazioni del riparo nomade: la tenda. In: Cataldi, Farneti, Larco, Pellegrino, Tamburini Tipologie primitive. 1. I tipi “radice”. Firenze, Alinea Ed.


NOTE:
[1] La realizzazione dello scavo è stata possibile grazie all’impegno di Simona Scaruffi, Simone Mulazzani, Liliana Piccolin e Federico Grifoni dell’Università di Bologna.
(*) testo di Fabio CAVULLI, pubblicato in “Scoprire. Gli scavi dell’Università di Bologna”, Catalogo della mostra, 18 maggio-18 giugno 2004.