Strutture antropiche

Lugo di Grezzana (VR): contributo allo studio delle strutture antropiche del primo Neolitico dell’Italia settentrionale.


SINTESI del lavoro di tesi svolto da Fabio Cavulli*.


Il lavoro di tesi presentato esamina le strutture antropiche rinvenute nel sito del Neolitico Antico di Lugo di Grezzana, attribuibile alla Cultura di Fiorano e risalente al 5500 a.C. circa.

La scoperta di questo insediamento è avvenuta nel 1990. La Soprintendenza ai Beni Archeologici per il Veneto si è occupato del primo intervento e delle prime campagne esplorative, dirette dal dott. Luciano Salzani; dal 1996, si è affiancata nelle ricerche la dott.ssa Annaluisa Pedrotti del Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche dell’Università di Trento.

Scopo di questo lavoro è l’interpretazione funzionale e lo studio dell’organizzazione spaziale all’interno dell’abitato delle strutture antropiche rinvenute. Con queste finalità si sono impostate ricerche stratigrafiche in estensione, aiutate da studi interdisciplinari. I dati così ottenuti sono stati interpretati in base alle caratteristiche dei singoli elementi e a confronti con strutture già note, utilizzando tecniche informatiche e di analisi statistica.

Il sito si colloca nella parte meridionale dei Monti Lessini, nella media Valpantena, ad una quota di circa m 300 s.l.m. (Cap. 1).

L’insediamento occupa la parte sommitale di un suolo, oggi sepolto (Complesso PS), evoluto sopra ad un terrazzo fluviale del torrente Progno di Valpantena. Il Complesso Alluvionale (Al) è caratterizzato dall’alternanza di sedimenti grossolani e fini. Il deposito antropico neolitico (DAn) è sepolto da una spessa coltre colluviale, che lo ha sigillato e preservato lungo una fascia orientata nord-sud. I processi di versante, che hanno coinvolto sedimenti di origine loessica (loess like sediments), hanno creato una conoide di deiezione che ha eroso la stratigrafia sottostante nella parte distale e in quella prossimale della conoide. Le fasi colluviali individuate sono tre (complessi CS, CM, CI) e, anche se prive di datazioni radiometriche, possono essere riferite a quella fase di instabilità dei versanti, collegata alle attività antropiche (disboscamento e agricoltura/allevamento), che sembra attestarsi già alla fine del Neolitico (Cap. 2).

Un livelletto di frustoli di carbone e di concotto viene ad inserirsi in modo discontinuo nel complesso dei colluvi medi (§2.2). Costituisce probabilmente la labile traccia di una frequentazione post-neolitica (settori V, XI; §4.3 e §4.7) e potrebbe essere in relazione con i reperti di litotecnica eneolitica che si ritrovano nel deposito colluviale. Tale presenza è confermata da resti più consistenti rinvenuti durante lo splateamento dell’area del settore X (1998). Si tratta di buche per palo circolari in pianta, che contengono al centro l’impronta carboniosa del foro di palo. Durante questi lavori è stato intercettato anche un focolare (§4.6).

Proponendosi lo studio di strutture che in Italia Settentrionale si sono rivelate spesso di difficile comprensione si è adottata una tecnica di scavo e di documentazione quanto più accurata possibile, applicata a ricerche in estensione. L’elaborazione dei dati di scavo (Cap. 3 e Tomo II) ha fatto uso di strumenti informatici idonei a restituire un’eloquente rappresentazione topografica, sia sotto forma bidimensionale, che attraverso la ricostruzione delle più importanti superfici o intefacce di strato o di fase. I rilievi di scavo sono stati ‘lucidati’ manualmente su tavoletta grafica (digitalizzatore) e immessi così in formato vettoriale, in sistema CAD, Computer Aided Drawing. E` stato quindi possibile disporre, per la prima volta in dieci anni di ricerche, di una documentazione grafica completa, in altre parole di planimetrie e sezioni da assemblare facilmente e sovrapporre senza problemi di scala.

Questo lavoro preventivo è stato indispensabile per affrontare l’analisi stratigrafica (Cap. 4) , che si è avvalsa di tutta la documentazione e in particolare delle schede stratigrafiche (schede di U.S.). Lo studio ha evidenziato due fasi di frequentazione distinte, ben evidenti nelle successioni dei settori IV, V, IX, X e nella colonna I (testimoni risparmiati dagli sbancamenti del 1992). La prima fase, più antica, è caratterizzata da buche di palo e strutture infossate riempite da resti vegetali carbonizzati, accumuli di sedimento argilloso-sabbioso scottato (concotto) e da abbondanti manufatti in selce, ceramica e pietra levigata. La seconda fase, più recente ma sempre attribuibile al medesimo orizzonte culturale, si distingue stratigraficamente in quanto copre direttamente i resti sopra menzionati con i prodotti di lavorazione della selce. Si tratta probabilmente di aree di scheggiatura che trovandosi a contatto con il deposito colluviale soprastante hanno subito gli effetti di un’erosione superficiale. Allo stato attuale delle ricerche non si conoscono buche di palo o fosse più ampie imputabili a questa frequentazione, che presenta, invece, dei focolari ampi e non strutturati (settori VIII, IX, X e CI) .

Le ricerche in corso a Lugo suscitano nuovo interesse per le strutture di abitato e di quelle ausiliarie. Non sono rari i siti neolitici che presentano fosse di diversa forma e dimensione, riempite spesso di materiale organico, molto carbonioso e ricche di resti culturali. La difficoltà riscontrata però nell’interpretazione funzionale di queste ha portato, a volte, a considerale elementi di secondo ordine rispetto ad altre classi di reperti forse più affascinanti, come l’arte mobiliare, la ceramica o la litica. Le conoscenze ancora limitate riguardo alcuni aspetti fondamentali della vita delle prime comunità di agricoltori e allevatori stanziati sul versante meridionale delle Alpi, impongono studi analitici. I riti sepolcrali, infatti, sono quasi del tutto sconosciuti, mentre i caratteri dell’insediamento sono comprensibili con chiarezza solo nel villaggio di Lugo di Romagna.

Le strutture più grandi venute alla luce durante le campagne di scavo 1991-1998 sono costituite da depressioni di forma quadrangolare (larghe m 3 e lunghe più di 7 m, ma non ne è stata mai scavata una per intero) e poco profonde (30-40 cm) in due casi e fonda fino ad un metro nel settore IX, con riempimento molto organico. Sembrano paragonabili per morfologia e riempimento ai cosiddetti ‘fondi di capanna’.

I primi rinvenimenti di strutture seminterrate si devono alle ricerche di Concezio Rosa nella Valle della Vibrata e, quasi contemporaneamente, a Gaetano Chierici, che nei primi anni settanta del secolo scorso trova evidenze analoghe ad Albinea e poi in altre località del reggiano. Le scarse conoscenze sugli insediamenti di età preistorica e il riempimento carbonioso hanno fatto pensare si trattasse della parte basale di capanne lignee, le cui pareti dovevano essere intonacate da argilla, come confermavano gli accumuli di concotto. La storia delle ricerche attorno a queste fosse, spesso ovali o circolari, è strettamente legata agli studi riguardanti il neolitico che solo intorno alla metà del nostro secolo possono contare su una stratigrafia di riferimento (Grotta delle Arene Candide) e su una scansione cronologica articolata, che si deve in gran parte alla Laviosa Zambotti. Malavolti definisce per primo i caratteri della Cultura di Fiorano che distingue anche sotto l’aspetto strutturale per la presenza di strutture semplici ad uno o due ambienti in contrasto con la Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata (V.B.Q.) che presenterebbero strutture di forma più complessa (Cap. 5, §5.1).

La funzione delle cavità più ampie non viene messa in discussione fino al secondo dopoguerra, quando su base tecnologica, etnografica e tramite nuovi scavi in Europa centrale (Bylani) alcuni Autori, per la maggior parte stranieri, suggeriscono si possa trattare di strutture legate ad attività artigianali o ausiliarie. La reazione degli studiosi italiani non è proprio accondiscendente, ma si apre comunque la strada a nuovi studi e nuove interpretazioni. Nel paragrafo 5.2 vengono presentati i lavori più significativi degli ultimi trentacinque anni. Essi costituiscono un’evoluzione da interpretazioni univoche, riguardanti il solo scopo abitativo, a una pluralità di possibili impieghi, che vanno dall’estrazione dell’argilla, allo scarico di rifiuti, dai sistemi di stoccaggio alle fosse di combustione. Viene così coniato il termine sottostruttura per quelle evidenze che si sviluppano prevalentemente in negativo (al di sotto del piano di calpestio) e che non presuppongono elementi in elevato (buche di palo, trincee di fondazione, ecc.).

Alcuni casi-studio (§5.3) completano il quadro degli scavi presentati nei paragrafi precedenti. Si tratta dello scavo in estensione di Savignano (MO), delle strutture perimetrali e della capanna a fior di terra di Lugo di Romagna (RA), dei ‘pozzetti’ definibili come siloi di Fagnigola (PN) e Sammardenchia (UD), delle fosse di combustione riconosciute a Mileto (FI) ed Alba (CN) .

Sulla base dell’analisi stratigrafica e dei confronti sopraindicati sono state proposte delle interpretazioni funzionali delle sottostrutture scavate a Lugo (Cap. 6).

La palizzata messa in luce nel settore X, non conserva tracce lignee, se non piccoli frustoli carboniosi, ma gli approfondimenti accostati di ogni singolo palo sono riconoscibili nelle ghiaie alluvionali sottostanti. Un varco d’ingresso è dotato di pali laterali affiancati a ‘L’, che dovevano sorreggere una chiusura. L’esistenza di questa sembra confermata da due buche di palo equidistanti dagli ‘stipiti’ che possono essere servite per puntellare la chiusura stessa. La struttura trova confronti molto calzanti con quella che recinge l’insediamento di Lugo di Romagna e che i resti carbonizzati dei pali ci dicono essere stata alta tre metri (§6.1).

Il fossato/canaletta a monte della palizzata, ed esterno a questa, è di più difficile interpretazione. La sua profondità è alquanto modesta: anche un’interpretazione quale sistema di drenaggio sembra fragile e limitata al percolamento delle acque superficiali (§6.2). Nuovi elementi venuti in luce recentemente potranno forse chiarire la natura di questo artefatto.

Le cavità subrettangolari più grandi, chiamate strutture complesse, non trovano sicura spiegazione funzionale. La possibilità che siano strutture di combustione (che spesso si presentano quadrangolari) è sicuramente da escludere. Infatti, nonostante gli accumuli di concotto e carbone che le riempiono, le pareti e il fondo della buca non presentano traccia di alterazione termica. Le maggiori difficoltà interpretative sono dovute alla frammentarietà delle ricerche che non permettono una visione d’insieme delle evidenze. Il riempimento carbonioso e l’abbondanza dei resti culturali fa supporre si tratti di strutture che si sviluppavano in elevato, come sembrano confermare i buchi di palo che le accompagnano. La presenza di ‘ripostigli’ (§6.7) di soli strumenti o soli nuclei di selce porta a collegare queste sistemazioni con attività artigianali e non con scopi abitativi. La disomogeneità nella distribuzione delle buche di palo, che in certi settori sono molto dense (settori III, IV, V), ma in altri quasi assenti (settore IX) invita a concludere che vi sia un’organizzazione precisa di queste evidenze e che le strutture complesse non siano strutture in sé, ma singoli elementi di costruzioni più grandi. Anche l’orientamento comune può essere assunto come ulteriore indizio in tal senso (§6.3). La piena comprensione di questi resti strutturali non può prescindere da scavi in estensione.

La stratigrafia registra spesso un riempimento semi-sterile alla base, al quale seguono strati organici caratterizzati di solito da concentrazioni di concotto o carbone. La parte superiore delle concavità è riempita da materiale colluviale spesso con abbondanza di manufatti. Questa sequenza è stata registrata anche da Bagolini e Biagi a Campo Ceresole e si può riscontrare in più siti (§5.2). Testimonia di una fase in cui la fossa è rimasta aperta e l’acqua vi ha trascinato dentro il sedimento circostante. Il secondo riempimento è spesso riferibile ad uno scarico intenzionale, probabilmente di rifiuti, come ha fatto notare per primo Barfield alla Rocca di Rivoli (§6.3 e 6.8). La colmatura finale avviene spesso ad opera naturale, trascinando all’interno il materiale culturale sparso sul piano esterno. La sequenza di riempimento non è ovviamente valida per tutte le buche neolitiche del nord Italia, ma è comunque piuttosto ricorrente. Lugo non fa eccezione che per alcune strutture, per le quali si è tentata una spiegazione particolare (§6.8).

Queste testimonianze pongono anche problemi di tipo interpretativo. Esse stanno a significare, infatti, che il riempimento spesso non ha nulla a che vedere con l’uso primario che è stata fatta della struttura, ma solo con quello secondario: ovvero quello di rifiutaia. Nell’insediamento veneto la micromorfologia è stata in grado di dimostrare che il riempimento di alcune strutture (E.S. 234 e 235 §4.5.2) registra molte più attività svoltesi intorno o all’interno di questa: dalla selezione di sedimento (decantazione dell’argilla?) all’accensione di un fuoco allo scarico di rifiuti ricchi di fosfati (§6.4).

In base a confronti archeologici ed etnografici alcuni ‘pozzetti’ sono stati interpretati come probabili sistemi di stoccaggio. Non abbiamo elementi, quali rivestimenti argillosi isolanti sulle pareti o resti della chiusura dell’imboccatura, che ci confermi la funzione. Le dimensioni e la morfologia assai regolare con pareti verticali o leggermente introflesse si avvicinano molto a casi già noti. Anche altri ‘pozzetti’ meno regolari sono stati considerati siloi in quanto presentano un foro di palo al centro. I confronti trovati per questo tipo di sistemazioni sono soltanto due: il sito francese della Prima Età del Ferro di Carsac e un silos ungherese a noi contemporaneo. Il palo centrale doveva sostenere una chiusura conica che la proteggeva e rendeva ermetica (§6.4).

Le buche di palo si possono distinguere in fori di palo e buche per palo. Le prime sono rappresentate da impronte con diametro inferiore a 30 cm e profondità variabile. Le seconde sono costituite, invece, da buche più larghe e profonde, formate spesso da uno scasso superficiale e dall’approfondimento del palo, che conferisce loro un particolare profilo ‘scaliforme’. Le indagini ancora limitate non permettono di cogliere sicuri allineamenti di strutture, che si possono solo ipotizzare (§6.5).

Le caratteristiche di tutte le evidenze strutturali scavate sono state riassunte in un database. Alcune semplici analisi descrittive denotano che le strutture non si raggruppano per classi dimensionali a sé stanti: tra buche di palo, che potremmo considerare inferiori ai 60 cm di diametro, e silos o altre fosse più grandi (maggiori di 60-80 cm) esistono una varietà di strutture di medie dimensioni e con profondità diversa. Ci si è chiesti se i diversi dati, quantitativi e qualitativi, fossero legati tra loro. Per incrociare le caratteristiche dimensionali, la forma dell’imboccatura, del profilo e il tipi di manufatti contenuti si è fatto ricorso a metodi statistici e in particolare ai test di significanza. L’analisi è stata eseguita sul numero complessivo delle evidenze, ad esclusione delle canalette, palizzata, strutture complesse e alcune che non presentavano dati completi: in totale 139 elementi. Le risposte ottenute sono piuttosto interessanti: sembra di poter distinguere le buche di palo dalle altre strutture per forma dell’imboccatura, del profilo e per dimensioni. In generale, sono stati riconosciuti legami forti tra le variabili che inducono a continuare le indagini (§6.10).

Questo lavoro ha la speranza di costituire un punto di partenza per l’analisi delle strutture dell’insediamento di Lugo di Grezzana. Studio ricco di potenzialità, che necessiterebbe di un’accurata analisi della distribuzione spaziale dei reperti, anche in relazione alle strutture stesse. La documentazione grafica, ora a disposizione in formato vettoriale, permette di creare un progetto GIS, Geographical Information System, che aiuterebbe considerevolmente la ricerche delle strutture latenti, ovvero dell’organizzazione non evidente degli elementi (§6.11).


SOMMARIO

– Tomo I –

Premessa III

Capitolo 1 – INQUADRAMENTO 1

1. 1 Storia delle ricerche in località campagne a Lugo di Grezzana 1

1. 2 I Monti Lessini 4

1. 2. 1 Stile morfologico e stratigrafia 6

1. 3 La Valpantena e Lugo di Grezzana 11

Capitolo 2 – IL TERRAZZO FLUVIALE E LA CONOIDE 15

2. 1 Lo studio stratigrafico della successione 16

2. 2 Definizione dei complessi pedostratigrafici 17

Capitolo 3 – STRUMENTI E METODO 25

3. 1 La documentazione 25

3. 2 Le campagne di scavo 1991-1995 e quelle 1996-2000: metodi a confronto 33

3. 3 L’informatizzazione e archiviazione del dato archeologico 35

3. 3. 1 I sistemi CAD 36

3. 3. 2 La vettorializzazione e AUTOCAD® 38

3. 3. 3 La terza dimensione e Surfer® 44

3. 3. 4 Composizione di planimetrie generali 48

3. 3. 5 Verso la creazione di un database delle strutture 50

3. 3. 6 La creazione di diagrammi stratigrafici 52

3. 3. 7 Altri programmi utilizzati 54

3. 3. 8 Hardware utilizzato 54

3. 3. 9 Cenni sul rilievo di dettaglio delle evidenze antropiche 55

Capitolo 4 – L’ANALISI STRATIGRAFICA 57

4. 1 I settori I e II e le prime indagini a Lugo di Grezzana 59

4. 1. 1 Settore I 59

4. 1. 2 Settore II 60

4. 1. 3 Aree risparmiate dallo sbancamento del 1992 61

4. 2 La campagna di scavo 1993 e i settori III e IV 64

4. 2. 1 Settore III 65

4. 2. 2 Settore IV 71

4. 3 Il settore V e la campagna di scavo 1995 81

4. 3. 1 Metodo di scavo, campionamento e documentazione 84

4. 3. 2 La stratigrafia 86

4. 4 La campagna di scavo del 1996 e i settori V est, VI, VII, VIII 97

4. 4. 1 Metodo di scavo, di campionamento, di documentazione. 99

4. 4. 2 stratigrafia 102

4. 4. 3 Settore VI 102

4. 4. 4 Settore VII 103

4. 4. 5 Settore V parte est 104

4. 4. 6 Settore VIII 106

4. 5 Il settore IX e le campagne di scavo 1996, ’97 e ’98 109

4. 5. 1 Interventi e metodo 109

4. 5. 2 Stratigrafia 109

4. 6 Le campagne di scavo 1998, 1999, 2000 e il settore X 119

4. 6. 1 Le evidenze strutturali post-neolitiche 120

4. 6. 2 Il deposito del Neolitico antico 124

4. 7 Settore XI 137

4. 7. 1 Il primo intervento 137

4. 7. 2 Documentazione 140

4. 7. 3 Metodo di campionamento 141

4. 7. 4 Stratigrafia 141

Capitolo 5 – LE STRUTTURE DEL NEOLITICO ANTICO IN ITALIA SETTENTRIONALE 151

5. 1 Le ricerche intorno ai “fondi di capanna” 151

5. 2 Unita` abitative e strutture ausiliarie: recenti studi riguardanti le sottostrutture 179

5. 3 Ulteriori casi-studio dal primo Neolitico italiano 207

5. 3. 1 Savignano sul Panaro (MO) 207

5. 3. 2 Lugo di Romagna (RA) 211

5. 3. 3 Fagnigola (PN) 214

5. 3. 4 Sammardenchia (UD) 215

5. 3. 5 Alba (CN), “Saggio Cooperativa dei Lavoratori” 220

5. 3. 6 Mileto (FI) 222

5. 4 Alcune considerazioni 224

Capitolo 6 – IL CONTRIBUTO DI LUGO DI GREZZANA ALLO STUDIO DELLE STRUTTURE ANTROPICHE DEL NEOLITICO ANTICO 229

6. 1 Palizzata 231

6. 2 ‘Fossato’ e canaline 233

6. 3 Strutture complesse 240

6. 4 Siloi 247

6. 5 Buche di palo 250

6. 6 Focolari, forni e strutture di combustione 256

6. 7 ‘Ripostigli’ 257

6. 8 Una diversa proposta interpretativa per alcuni resti faunistici in nord Italia 258

6. 9 Altre sottostrutture 261

6. 10 APPENDICE: dalla raccolta all’analisi statistica del dato 264

6. 11 Considerazioni conclusive 292

INDICE DELLE U.S. / E.S. 297

INDICE ANALITICO 305

BIBLIOGRAFIA 311

– Tomo II –

Tavole

– ALLEGATO –


(*) Relatore: dott.ssa Annaluisa Pedrotti; Laureando: Fabio Cavulli; Anno Accademico 1999-2000