Le asce in pietra levigata

Le asce in pietra levigata del Trentino*


Questo lavoro di ricerca prende in considerazione le asce preistoriche in pietra levigata dell’Italia settentrionale e del Trentino.

Nella paletnologia italiana, con il termine ascia in pietra levigata, viene indicata una lama fabbricata con rocce di particolare durezza e densità, che era fissata in origine ad un manico di legno. Questo strumento era utilizzato dall’uomo preistorico per il disboscamento, per lavori di carpenteria del legno e per altre attività domestiche.

In Italia settentrionale, l’ascia compare con le prime culture agricole neolitiche ed è presente nel successivo Eneolitico e nell’Età de Bronzo, anche se in quantità minore e con tipologie differenti.

La prima parte di questa ricerca riguarda le asce in pietra levigata del Neolitico dell’Italia settentrionale.

Nel primo capitolo viene presentata la storia delle ricerche.

Fra i primi studiosi di preistoria di fine Ottocento e inizio Novecento che si interessano di asce in pietra levigata, Bartolomeo Gastaldi eGiovanni Battista Traverso prendono in considerazione principalmente il problema del materiale con cui sono costruite, la così detta pietra verde, e della sua provenienza. In Gaetano Chierici e Angelo Colini si trova una distinzione fra accette e asce; le prime presentano corpo asimmetrico e secondo gli autori, erano immanicate con il tagliente parallelo rispetto al manico, le seconde presentano corpo simmetrico e probabilmente erano immanicate con il tagliente trasversale al manico.

Il periodo fra le due guerre rappresenta un momento di stasi nelle ricerche archeologiche e paletnologiche, mentre una ripresa si ha a partire dagli anni Quaranta e Cinquanta. Nella sua pubblicazione degli scavi alla caverna delle Arene Candide, Luigi Bernabò Brea propone per la prima volta una classificazione delle asce in pietra levigata in due tipi, le asce convesse e le asce spianate, in base a dimensioni, morfologia e supporto da cui sono ricavate. Le prime sono costruite a partire da un ciottolo, mentre le seconde, più piccole sono ricavate da una scheggia. Fra gli anni Sessanta e Ottanta l’esistenza di questi due tipi viene riconosciuta anche nel materiale in pietra levigata di altri insediamenti.

Negli anni Novanta si verificata un rinnovato interesse per l’industria in pietra levigata dell’Italia settentrionale, grazie ad una serie di iniziative e pubblicazioni che portano ad un ampliamento delle tematiche e dei metodi di ricerca. Le principali sono rappresentate dalle analisi petrografiche sistematiche avviate da Claudio D’Amico del Dipartimento di Scienze Mineralogiche dell’Università di Bologna e dalla mostra Le vie della pietra verde, realizzata ad Alba in occasione del XIII Congresso Internazionale delle Scienze Preistoriche e Protostoriche (Forlì, 8–14 settembre 1996). Nel catalogo della mostra, sono esposti in modo completo ed esauriente i temi trattati dalla ricerca attuale: le problematiche legate all’approvvigionamento e alla diffusione delle pietre verdi, lo studio delle tecniche di costruzione nell’archeologia sperimentale, la tipologia e i possibili significati sociali e simbolici.

Nel secondo capitolo sono illustrate le tecniche analitiche comunemente adoperate per lo studio mineralogico-petrografico della pietra levigata ed i risultati che con esse si ottengono; segue una descrizione dei tipi di roccia utilizzati per la costruzione delle asce e degli altri strumenti da taglio in pietra levigata. Si tratta principalmente di giade ed eclogiti, rocce metamorfiche aventi particolare durezza e densità, i cui luoghi di provenienza sono identificabili con gli affioramenti delle Alpi occidentali e dell’Appennino ligure.

Il terzo capitolo riguarda la tipologia delle asce in pietra levigata. Utilizzando la schedatura informatica, elaborata nell’ambito del Progetto di Ricerca Finalizzata CNR La pietra levigata tra Neolitico e Bronzo è stato raccolto un campione di 125 oggetti provenienti da contesto abitativo o funerario.

Sulla base delle differenze morfologiche sono state distinte due categorie di manufatti: le asce (114 esemplari) e gli scalpelli (11 esemplari); questi ultimi presentano forma più sottile, stretta e allungata rispetto alle asce.

Per quanto riguarda la tipologia delle asce in pietra levigata, è stata confermata la validità della classificazione in due tipi o categorie, elaborata da Luigi Bernabò Brea. Questa suddivisione è risultata essenzialmente legata a differenze di tecnica di costruzione, mentre le differenze formali e dimensionali sono apparse piuttosto una conseguenza del processo di fabbricazione stesso. I due tipi sono stati denominati asce ovali e asce piatte.

Negli scalpelli sono stati individuati tre tipi, in base a caratteristiche formali, tecnica di costruzione, e ambito culturale e geografico di appartenenza: gli scalpelli di origine danubiana, gli scalpelli padani e gli scalpellli su scheggia.

Nel quarto capitolo viene affrontato il problema dei metodi di immanicatura. Dal momento che in Italia settentrionale mancano evidenze archeologiche per quanto riguarda l’immanicatura delle asce e degli altri strumenti da taglio in pietra levigata, sono state prese in considerazione le lame d’ascia immanicate, rinvenute negli insediamenti lacustri svizzeri. Attraverso una serie di confronti fra il materiale nord italiano e quello svizzero, si è arrivati a concludere che dalle dimensioni di una lama d’ascia in pietra levigata, è possibile ricavare alcune indicazioni sul metodo con cui era immanicatata.

Il quinto capitolo prende in considerazione l’ascia come simbolo di prestigio e distinzione sociale.

Negli studi etno-archeologici svolti all’inizio degli anni Novanta del Novecento, Pierre Petrequin ha osservato che presso le popolazioni della Nuova Guinea, grandi lame in pietra levigata finemente lavorate sono spesso oggetti di valore e manifestazione di una gerarchia temporanea o ereditaria. In studi successivi Pierre Petrequin, Christophe Croutsch, Serge Cassen e Eric Thirault hanno riconosciuto l’esistenza di un fenomeno analogo presso le popolazioni neolitiche della Francia e dell’Europa occidentale, attestato da lunghe lame in pietre verdi rinvenute in sepoltura o ripostiglio.

In base alle proposte di questi autori è stato analizzato un campione di 34 lame d’ascia in pietra levigata nord italiane, caratterizzate da una lunghezza notevole e sono stati distinti cinque gruppi.

Le asce dei primi tre gruppi presentano delle differenze nel grado di lavorazione, però possiedono tutte le caratteristiche proprie degli oggetti simbolici e di valore, così come sono state definite da Petrequin et alii. Per quanto riguarda la datazione si concorda con gli autori francesi, che le situano nella I metà del V millennio a.C. in cronologia calibrata. Il quarto gruppo comprende lame che hanno lunghezza notevole, ma che per l’aspetto formale sono interpretabili piuttosto come comuni oggetti di uso pratico. Infine le lame del quinto gruppo presentano caratteristiche completamente differenti e sono riferibili ad un altro ambito cronologico; si tratta con ogni probabilità di esemplari tardo neolitici-eneolitci, imitanti in alcuni casi le lame metalliche in Rame.

La seconda parte di questa ricerca riguarda le asce in pietra levigata del Trentino.

Nel sesto capitolo si propone un panorama delle ricerche sulle asce trentine. A fine Ottocento e inizio Novecento i rinvenimenti di asce sono rappresentati da reperti sporadici, raccolti da contadini durante lavori agricoli nei loro campi. Le prime pubblicazioni, fatte da studiosi che non sono specialisti di paletnologia, consistono in brevi descrizioni degli oggetti. L’unica figura di rilievo è quella di Paolo Orsi (1859-1935), che si distingue per una preparazione specifica nel campo dell’archeologia e che nelle sue pubblicazioni propone delle descrizioni più approfondite.

Un altro personaggio importante è Giacomo Roberti, il quale, fra la fine del primo decennio del Novecento, sino agli anni Cinquanta pubblica una gran quantità di notizie di scavi e ritrovamenti, fra i quali non mancano le asce in pietra levigata. Negli anni Settanta e Ottanta si assiste ad un rinnovato interesse per gli studi preistorici in regione, fra i promotori di questo cambiamento si distinguono Lawrence Barfield, Bernardino Bagolini e Renato Perini. Le asce in pietra levigata non sono più solo reperti sporadici isolati, ma anche oggetti recuperati con scavi stratigrafici; la documentazione disponibile è quindi più completa e si propongono spesso confronti e datazioni, mancano però studi specifici.

Negli anni Novanta il rinnovato interesse per l’industria in pietra levigata dell’Italia settentrionale, produce una serie di iniziative e progetti, nell’ambito dei quali parte del materiale trentino viene “rispolverato” e analizzato da nuovi punti di vista. A Claudio D’Amico si devono nuove analisi petrografiche, mentre sul catalogo della mostra Le vie della pietra verde, Annaluisa Pedrotti pubblica uno studio sulle asce neolitiche rinvenuti in contesto funerario, in Italia settentrionale e quindi anche in Trentino.

Il settimo capitolo consiste nel catalogo delle asce trentine.

La maggior parte delle asce trentine è rappresentata da reperti sporadici, alcune sono state rinvenute in contesto abitativo o funerario, mentre solo per due asce del Doss Trento sembra possibile la provenienza da ripostiglio.

Per gli oggetti privi di contesto sono state proposte delle interpretazioni sulla cronologia, in base alle loro caratteristiche tipologiche; in conclusione è stato possibile suddividerle in cinque gruppi.

–         Nel primo gruppo rientrano le asce neolitiche o di tipologia neolitica, che possono essere inquadrate nelle due categorie precedentemente distinte delle asce ovali e delle asce piatte. Alcune asce lunghe con una lavorazione particolarmente accurata rientrano nella categoria delle lame aventi valore simbolico e sociale.

–         Il secondo gruppo comprende gli scalpelli neolitici di tipologia danubiana.

–         Il terzo gruppo comprende le asce eneolitiche o di tipologia eneolitica.

–         Il quarto gruppo comprende alcune asce di dimensioni piuttosto ridotte provenienti dalla palafitta di Molina di Ledro, che non sono inquadrabili in nessuna delle categorie precedentemente distinte.

–         Nel quinto gruppo si possono includere le asce forate, in gran parte reperti sporadici, inquadrabili in un ambito cronologico che comprende l’età del Rame e del Bronzo.

La descrizione dei reperti è stata fatta in base alla schedatura informatica utilizzata già nello studio tipologico.


(*) Sintesi del lavoro di tesi svolto da Maddalena Boselli

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