Balzi Rossi

Le caverne dei Balzi Rossi – o “Grotte dei Grimaldi” in quanto fino al 1861 il territorio apparteneva all’attuale casata monegasca – si aprono ai piedi di una parete rocciosa alta circa 100 metri di calcare dolomitico giurassico, che costituisce la linea di costa tra la frazione Grimaldi di Ventimiglia (IM – Liguria) e la frontiera francese.

Il nome della località è dovuto all’arrossamento e all’andamento superficiale delle rocce, causato principalmente dagli agenti esogeni, e deriva dalla voce dialettale locale di Mentone Baussi Russi, tradotto letteralmente “pietre rosse”. Ai piedi di questa balza calcarea si è accumulato nel corso dei millenni uno spesso deposito costituito da una falda detritica che digrada dalla parete rocciosa sino quasi all’attuale battigia, poggiando alla sua base su un’ampia piattaforma d’erosione marina: sono i depositi del Pleistocene medio-inferiore, ricchi di testimonianze umane e indagati a più riprese a partire dalla prima metà del XIX secolo.

Il primo a compiere saggi di scavo ai Balzi Rossi fu, nel 1846, il principe di Monaco Florestano I. Nei decenni seguenti numerosi ricercatori e appassionati locali si avvicendarono nel lavoro sul campo, ma il risultato complessivo di questo fervore di attività fu decisamente negativo, dal momento che gli scavi, condotti in maniera disorganica, distrussero molte parti dei giacimenti lasciando una documentazione assai scarsa e disperdendo i materiali raccolti. Solo Rivière, anch’egli non esente da critiche per i metodi di lavoro impiegati tra il 1870 e il 1875, intraprese un primo tentativo di sintesi. Successivamente nuove indagini e i lavori di cava intrapresi dalla famiglia Abbo, proprietaria della Barma Grande, portarono alla scoperta di reperti preistorici di eccezionale interesse, come la famosa triplice sepoltura, tanto da spingere il mecenate inglese sir Thomas Hanbury a far costruire nel 1898 il Museo dei Balzi Rossi. I lavori di scavo condotti con criteri scientifici ritenuti oggi adeguati furono solo quelli intrapresi su iniziativa del principe Alberto I di Monaco (1892-1902), diretti dal canonico Louis de Villeneuve, e quelli eseguiti dall’Istituto Italiano di Paleontologia Umana di Roma ad intervalli tra il 1928 e il 1962, che videro all’opera illustri studiosi come G.A. e A.C. Blanc, L. Cardini e P. Graziosi. Gli scavi del principe Alberto furono dedicati all’esplorazione di quanto rimaneva nelle grotte dei Fanciulli e del Caviglione e allo scavo sistematico della grotta del Principe; mentre le attività dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana completarono 1’esplorazione degli strati Musteriani della Barma Grande e della grotta dei Fanciulli e intrapresero quella di due nuovi giacimenti individuati nel corso dei lavori: la grotta del Conte Costantini e il Riparo Mochi.

In anni recenti, ulteriori interventi di portata più limitata sono stati effettuati da G. Vicino, per conto della Soprintendenza Archeologica della Liguria, nei giacimenti dell’ “ex-Casinò” (1968-71) e del Riparo Bombrini (1976), rendendo possibile anche la scoperta di esempi di arte parietale paleolitica nella grotta del Caviglione (il famoso “Cavallo del Caviglione”) e più in generale su tutta la parete rocciosa. Inoltre, a partire dalla metà degli anni Sessanta, studiosi del Musée d’Anthropologie Préhistorique del Principato di Monaco (L. Barral, S. Simone) hanno dato nuovo impulso alle ricerche nella grotta del Principe, grazie alla scoperta di un deposito concrezionato dell’età di oltre 200.000 anni.

Oggi, dopo oltre 150 anni di indagini, gli imponenti depositi paleolitici dei Balzi Rossi non possono ancora considerarsi esauriti: una nuova stratigrafia é stata identificata e parzialmente scavata (1990 – 1992) nel corso della costruzione del nuovo edificio museale (sito dell’ex–Birreria), mentre dal 1995 ad oggi la Soprintendenza Archeologica della Liguria e l’Istituto Italiano di Paleontologia Umana conducono nuovi scavi a Riparo Mochi.